Collezioni

Il Museo ospita collezioni mineralogiche, paleontologiche e zoologiche.
Le collezioni mineralogiche comprendono raccolte risalenti all’Ottocento, tra cui spicca quella delle meteoriti, e collezioni più recenti frutto di acquisti e/o donazioni.
Le collezioni paleontologiche comprendono sia invertebrati che vertebrati fossili e una raccolta di filliti fossili provenienti da varie località italiane.
Le collezioni zoologiche comprendono raccolte malacologiche, primatologiche, osteologiche relative ai cetacei, erpetologiche, entomologiche, ornitologiche e di anatomia comparata.

Di seguito una breve descrizione delle collezioni zoologiche.

 

Collezione ittiologica collezione pesci-01 copia

La collezione ittiologica comprende alcune decine di esemplari naturalizzati e circa 2200 lotti conservati in alcool provenienti dai mari e dalle acque dolci di tutto il mondo.
Tale collezione risulta una delle più antiche presenti in Italia e annovera rappresentanti di gran parte degli ordini di ciclostomi, condroitti e osteitti.


Collezione erpetologica

Nonostante le dimensioni ridotte (conta infatti poco più di 2000 reperti), la collezione risulta comunque rappresentativa dell’intero gruppo tassonomico, annoverando taxa provenienti da tutti i continenti. Di particolare pregio sono la collezione di Anfibi sud-americani e le recenti acquisizioni di materiale mediterraneo di Squamati.


Collezione ornitologica

DSC_7478Con i suoi circa 10000 reperti si colloca tra le prime collezioni pubbliche italiane.
Gran parte della collezione risulta costituita da esemplari naturalizzati appartenenti a quasi tutti gli ordini descritti a livello mondiale.
Completano la raccolta circa 250 nidi e 550 uova, generalmente in buono stato di conservazione, di provenienza esclusivamente toscana.


Collezione cetologica

La collezione, comprendente 53 esemplari, risulta la più importante esistente in Italia per numero di taxa rappresentati (27) dei quali sette unici per i Musei Italiani. In particolare sono degni di nota gli scheletri di alcuni Misticeti tra i quali la balenottera azzurra (Balaenoptera musculus) e la balenottera boreale (Balaenoptera borealis); tra gli Odontoceti vale la pena ricordare lo scheletro completo del rarissimo mesoplodonte di Bowdoin (Mesoplodon bowdoini) e del platanista del Gange (Platanista gangetica).


Collezione primatologica

La raccolta – costituita da esemplari naturalizzati, in liquido, a secco e preparati osteologici – comprende una grande varietà di esemplari rappresentativi di tutte le famiglie di Primati attualmente esistenti. Valorizzano inoltre la collezione specie rare come la ayé-ayé (Daubentonia madagascariensis), l’indri (Indri indri), la scimmia ragno lanosa (Brachyteles arachnoides) e la nasica (Nasalis larvatus). I Dati storici relativi alla collezione sono estremamente frammentari poiché molti dei riferimenti, che accompagnavano gli esemplari, sono andati perduti nel corso degli spostamenti subiti dai reperti nei decenni passati. Dagli appunti e dagli elenchi redatti da Paolo Savi e Sebastiano Richiardi e ai cartellini presenti è possibile collocare temporalmente la collezione a cavallo tra il XIX e il XX secolo.


Collezione di anatomia comparata

I reperti di questa collezione, in numero di circa 1500 appartenenti a vertebrati. I preparati anatomici a secco della seconda metà del XIX secolo, insufflati con sego e cera, sono assimilabili per le loro peculiari tecniche di realizzazione più a vere e proprie opere d’arte che a “semplici” campioni scientifici.


Collezioni palaentologiche

Le collezioni paleontologiche sono stimate in circa 200.000 reperti raccolti in oltre quattrocento anni di storia del Museo e per la maggior parte provenienti da località fossilifere italiane.
Le raccolte più significative sono entrate a far parte del patrimonio del Museo a partire dalla metà dell’ottocento attraverso campagne di scavo, acquisizioni di collezioni private e scambi.
Purtroppo i bombardamenti e i saccheggi della seconda guerra mondiale causarono gravi danni al Museo Paleontologico, al quel tempo ubicato a Pisa in via S. Maria, e di conseguenza alcune collezioni sono andate completamente o parzialmente perdute. Sfortunatamente parte dei vecchi cataloghi ha subito la stessa sorte.
Il Museo conserva reperti fossili delle più varie tipologie: filliti provenienti da varie località italiane e invertebrati fossili appartenenti a tutti i gruppi più significativi, fra cui spiccano le ammoniti ma sono anche rappresentati: trilobiti, molluschi, coralli, spugne, brachiopodi, ostracodi, graptoliti, balanidi ed echinodermi. Di notevole importanza sono anche le collezioni di vertebrati fossili con ricche raccolte di ittioliti, vertebrati continentali e mammiferi marini, oltre che una consistente collezione di orme di tetrapodi del Triassico dei vicini Monti Pisani. Molte di queste collezioni furono pubblicate da personaggi storici della paleontologia italiana come: Meneghini, Lawley, D’Achiardi, Canavari, Fucini, Stefanini, Gortani e Merla.


Collezioni entomologiche

Il corpus fondamentale delle collezioni storiche è rappresentato dal materiale radunato da Paolo Savi nella prima metà dell’Ottocento. L’importanza di tali raccolte risiede soprattutto nel fatto che in esse sono presenti esemplari (ottenuti con scambi o acquisti) provenienti da varie collezioni coeve ormai perdute per la scienza (valgano da esempio i materiali delle collezioni Dahl, De Cristoforis, Jan, Marietti, Passerini e dei fratelli Villa).
Svariate vicissitudini hanno purtroppo determinato il danneggiamento più o meno grave dei reperti in seguito, soprattutto, ad attacchi parassitari e hanno reso necessario un intervento di restauro avviato nel 1997 e che è ancora in fase di svolgimento. Di pari passo con il recupero del materiale si sta procedendo alla informatizzazione dei dati per la realizzazione di un catalogo.
Le collezioni “moderne” – ordinate ed organizzate, cioè, secondo gli attuali criteri sistematici, bionomici e biogeografici – sono costituite principalmente da materiale risultante dalle raccolte effettuate nell’ambito dei vari progetti di ricerca che hanno visto, e vedono, coinvolto il personale del Museo. Di particolare rilevanza i reperti provenienti dalle zone costiere della Toscana, dalle isole dell’Arcipelago Toscano, dalla Sardegna, dalla Corsica, dall’Oman (regione del Dhofar) e dal Messico.


Collezioni malacologiche

Di fondamentale importanza la presenza di una parte della collezione prelinneana del Gualtieri che comprende anche materiali della collezione Rumph (acquistata dai Medici e, successivamente, donata al Gulatieri stesso). Sui disegni dei reperti (Index Testarum Conchyliorum) Carlo Linneo descrisse molte specie, in gran parte ancora valide. E’ considerata a livello internazionale come una delle principali collezioni di riferimento per la sistematica malacologica.


Gli acquari

Il progetto relativo ad una esposizione di acquari al Museo di Storia Naturale non è nuovo. Il professor Ezio Tongiorgi aveva pensato ad un progetto analogo all’inizio degli anni ‘80 del secolo scorso. In effetti un certo numero di acquari fu costruito dall’allora titolare del negozio Aquarium di Pisa, il dottor Riccardo Capineri, e alcuni di essi furono messi in funzione nella sala attualmente destinata a loro. Il progetto non ebbe lunga vita e dopo qualche mese gli acquari furono smontati e i vetri conservati nei magazzini della Certosa. Del progetto originario sono ancora presenti i supporti in pietra e le travi che servivano per sorreggere gli acquari e sono stati proprio questi supporti e queste travi a far ricordare e rilanciare il progetto che è stato realizzato grazie a un finanziamento della Fondazione Monte dei Paschi di Siena.

L’attuale esposizione è formata da 23 vasche, 22 delle quali contengono pesci esotici e una, la più grande, ospita specie presenti sul territorio. Tutti gli acquari contengono specie d’acqua dolce per mostrare la straordinaria biodiversità ittica delle acque interne.

La prima sala che si incontra è la sala del territorio, la vasca in questa sala è dedicata a specie che vivono nei nostri fiumi e laghi. Tra gli esemplari ospitati troviamo carpe (Cyprinus carpio), scardole (Scardinius erythrophthalmus) e persici sole (Lepomis gibbosus).

Le altre 22 vasche sono organizzate in modo da dare una panoramica dei gruppi sistematici dei pesci d’acqua dolce. Le specie sono ordinate in modo da iniziare con quelle appartenenti a gruppi con caratteri più primitivi e finire con quelle di gruppi con caratteristiche più derivate. La scelta delle specie è stata fatta anche tenendo presente la loro spettacolarità.

Sono presenti le razze potamotrigonidi costituiscono l’unico gruppo esclusivamente d’acqua dolce tra i pesci cartilaginei (Squali, razze, torpedini, chimere). Circa 20 specie di razze potamotrigonidi abitano i bacini fluviali del versante atlantico dell’America meridionale. Nelle vasche della galleria è presente la specie Potamotrygon motoro.

Una porzione estremamente limitata della diversità dei pesci ossei è rappresentata da un piccolo numero di specie ittiche anatomicamente primitive. Queste specie costituiscono gli ultimi rappresentanti di quei gruppi che dominarono gli ambienti acquatici durante le ere paleozoica e mesozoica, per i quali le acque dolci di fatto rappresentano aree rifugio all’interno delle quali è stato possibile superare le numerose fasi di crisi ed estinzione che le comunità biologiche del pianeta hanno affrontato nel corso degli ultimi 400 milioni di anni. Alcune delle prime vasche sono dedicate a questi ‘fossili viventi’. Tra questi i dipnoi o pesci polmonati, oggi rappresentati da sole sei specie delle quali quattro vivono in Africa, una in America meridionale ed una in Australia. A causa del possesso dei polmoni, i dipnoi furono considerati anfibi o rettili al momento della loro scoperta negli anni ’30 del XIX secolo. I polipteri sono senza alcun dubbio gli actinopterigi (i pesci con pinne sostenute da raggi) morfologicamente più primitivi, tra le loro caratteristiche spiccano le pinne pettorali lobate e le spesse scaglie. I lepisostei sono caratteristici degli acquitrini, degli stagni e dei laghi dell’America settentrionale e centrale. Questi pesci, dal corpo e dal muso estremamente allungati, possiedono uno scheletro molto robusto ed una densa copertura di spesse scaglie quadrangolari. Una delle caratteristiche più interessanti dei lepisostei riguarda la tossicità delle uova, generalmente di un acceso colore verde, che possono causare addirittura la morte qualora ingerite.

Nel tentativo di rispettare la diversità osservata in natura, la gran parte delle vasche è dedicata ai Teleostei, pesci con ossificazione dello scheletro completa, con riferimento alle diverse linee evolutive che hanno occupato le acque dolci durante gli ultimi 150 milioni di anni.

Gli Osteoglossiformi sono comunemente considerati i più primitivi tra i Teleostei viventi. Il gruppo deve il suo nome ad una peculiare caratteristica anatomica legata al possesso di denti piuttosto sviluppati sulle ossa di supporto alla lingua, che possono occludere contro superfici similmente dotate di denti ubicate sulla volta del palato. Le specie ospitate sono: il pesce farfalla africano (Pantodon buchholzi), l’arowana sudamericano (Osteoglossum bicirrhosum) ed il pesce coltello del sud-est asiatico (Chitala ornata).

A livello globale gli habitat dulcicoli sono dominati dagli Ostariofisi, un gruppo straordinariamente diversificato che comprende circa il 65% delle 13.000 specie ittiche d’acqua dolce. Quasi tutte le numerosissime specie appartenenti a questo gruppo condividono due caratteristiche interpretabili come adattamento alla vita nei grandi bacini fluviali ed alla ridotta visibilità dovuta alla frequente elevata torbidità delle acque. Il primo adattamento riguarda una serie di ossa annesse alla porzione anteriore della colonna vertebrale, il cosiddetto ‘Apparato di Weber’, che consente la trasmissione dei suoni dalla vescica natatoria all’orecchio interno attraverso un complesso movimento dei vari componenti ossei. La seconda caratteristica tipica degli Ostariofisi è il segnale di allarme chimico prodotto da specializzate cellule dermiche, che viene rilasciato nell’acqua in seguito all’attacco da parte di un predatore consentendo una serie di reazioni di fuga coordinate tra conspecifici. All’interno degli Ostariofisi sono riconoscibili alcuni gruppi principali tra i quali tre, i Cipriniformi, i Caraciformi ed i Siluriformi sono quelli contenenti il maggior numero di specie. Rappresentanti di tutti e tre questi gruppi sono ospitati nelle vasche.

Le melanotenie o pesci arcobaleno (Glossolepis incisus, Melanotenia praecox), sono tipiche dei fiumi e dei laghi australiani, della Nuova Guinea e di alcune isole indonesiane. Una delle principali peculiarità di questi pesci riguarda il pronunciato dimorfismo sessuale caratteristico di numerose specie, in cui i maschi sono visibilmente diversi dalle femmine per le brillanti livree e le pinne più sviluppate.

I pesci “testa di serpente” (Channa pulchra) sono voraci predatori abbastanza comuni nelle paludi e negli stagni della fascia tropicale di Africa ed Asia.

I Labirintidi, rappresentati dai gurami giganti (Osphronemus laticlavius) devono il loro nome ad un organo suprabranchiale, una struttura densamente plicata a formare una sorta di labirinto e localizzata nella porzione superiore del primo arco branchiale, attraverso il quale possono respirare aria e sopravvivere in stagni o acquitrini soggetti a periodiche eutrofizzazioni.

Con oltre 1300 specie descritte fino ad oggi, i ciclidi costituiscono uno dei gruppi dei Teleostei maggiormente diversificati nelle acque dolci, secondi solo agli Ostariofisi. Moltissime di queste specie sono estremamente popolari tra gli acquariofili per la varietà delle loro forme e colori, i comportamenti riproduttivi e le cure parentali.

I Pesci Palla costituiscono l’apice, il punto terminale della storia evolutiva percorsa dai pesci nelle acque dolci del pianeta. Questi pesci dall’aspetto bizzarro devono il loro nome alla capacità di gonfiarsi in caso di pericolo fino ad assumere una forma sferica, attraverso l’ingestione di aria o acqua all’interno di uno stomaco fortemente elastico. La pelle di questi pesci oltre ad essere dotata di una notevole elasticità è densamente coperta di spinule ed i visceri contengono percentuali talvolta molto elevate di tetrodotossina, un alcaloide mortale anche bassissime dosi. Sebbene il gruppo sia prevalentemente marino, diverse specie vivono nelle acque dolci dell’America meridionale, dell’Africa e dell’Asia meridionale, compresa quella ospitata nelle nostre vasche (Tetraodon mbu) originaria del bacino del Fiume Congo.