La balena di Empoli

Nei giorni scorsi sono arrivati al Museo i resti dello scheletro di una balena rinvenuta nei pressi di Empoli (per la precisione, nella zona di Melione).

No, non si era persa: durante il Pliocene la Toscana era quasi interamente coperta dal mare, e la zona di Empoli era, per la precisione, il delta di un fiume (nella stessa area sono stati rinvenuti anche due tapiri).

Dopo aver aspettato svariati milioni di anni per essere ritrovata, la balena ha pazientato per altri dodici prima di essere trasportata al Museo: il ritrovamento, infatti, risale al luglio 1995, come testimoniano i fogli della Gazzetta della Sport che, insieme al gesso, proteggevano i blocchi di argilla contenenti i resti.

Ma se credete che il viaggio della balena sia giunto al capolinea, vi sbagliate! Liberare le ossa dalla terra sarà lavoro di mesi e richiederà una precisione (non ci stanchiamo mai di fare questa battuta) certosina. Non dovete infatti fare l’errore di pensare che si tratti delle classiche ossa bianco panna che siamo abituati a vedere esposte nei musei. Questo era quello che pensavo io (povera ingenua): di bianco, nelle casse arrivate al Museo, c’era solo il gesso protettivo, che è stato immediatamente rimosso rivelando quello che sembrava (a me) un uniforme blocco di terra. La materia ossea è quasi indistinguibile dall’argilla che la circonda, per il colore marroncino e anche per la consistenza: l’unica differenza sta nel fatto che, mentre l’argilla appare compatta, le ossa presentano una struttura porosa. Riconoscerle richiede grande attenzione ed estrarle senza spezzarle cautela, abilità e anche una buona dose di fortuna. Per cominciare, la balena può già dirsi fortunata che il lavoro non tocchi a me, che me ne sto nel mio ufficio dove posso danneggiare al massimo la tastiera del PC.

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Piccola curiosità: oltre alle ossa, l’argilla contiene anche una grande quantità di molluschi e conchiglie, che saranno utili per ricostruire l’ambiente che circondava la balena al momento della sua dipartita. Il cadavere di una di queste creature, infatti (che, a giudicare dalle dimensioni del cranio, doveva aggirarsi intorno ai 10 metri), diventava per pesci, granchi, molluschi e parassiti di ogni genere l’equivalente primordiale di un moderno all-you-can-eat.

Insomma, ne vedremo delle belle, man mano che le ossa vengono alla luce.

L.B.