Paolo Savi

Il 5 aprile 2021 ricorrono i 150 anni dalla morte del personaggio più importante della storia del nostro Museo, Paolo Savi. Lo vogliamo ricordare e celebrare con questo articolo dedicato alla sua vita e alla sua carriera professionale.

 

Paolo Savi (Pisa 1798 – Pisa 1871) è stato uno dei più importanti scienziati italiani dell’Ottocento. Figlio dell’illustre botanico Gaetano Savi, titolare della cattedra di botanica e direttore dell’Orto Botanico dell’Università di Pisa, Paolo Savi fin da giovanissimo dimostra uno spiccato interesse verso le scienze naturali. A 13 anni leggeva le dispense di Giorgio Santi, titolare della cattedra di Zoologia e Mineralogia e Direttore del Museo di Storia Naturale dell’Università e a 16 anni già frequentava l’Università.
A 18 anni Paolo Savi ottenne una borsa di studio per un viaggio in Francia e a 20 anni era già laureato, tanto che, a partire dal 1818, fu nominato dal padre assistente alla cattedra di Botanica. Nel 1821 fu nominato aiuto-professore di Storia Naturale con l’incarico di formare le collezioni zoologiche del Museo Pisano, di cui divenne direttore nel 1823, succedendo a Giorgio Santi che morì nel dicembre del 1822. Fu direttore generale del Museo di Storia Naturale fino al 1840, poi, con la divisione delle cattedre, per la mineralogia e la geologia fu chiamato Leopoldo Pilla da Napoli, mentre Savi mantenne la cattedra e la direzione del Museo di Zoologia e Anatomia Comparata.

Paolo Savi è stato uno zoologo, geologo e museologo di fama internazionale, oltre ad essere un eccellente tassidermista e preparatore, ed è stato membro delle principali Società Scientifiche nazionali e internazionali, oltre ad essere uno dei promotori della prima riunione degli scienziati italiani, svoltasi a Pisa nel 1839. Nel 1862 fu anche nominato senatore del Regno d’Italia.
Inoltre, il suo incessante lavoro come Direttore del Museo di Storia Naturale aveva portato il Museo Pisano alla notorietà internazionale, anche grazie all’eccellente qualità delle preparazioni tassidermiche e anatomiche.
Prima del suo arrivo al Museo nel 1821 con l’incarico di formare le collezioni zoologiche, il Museo Pisano non era particolarmente ricco di esemplari, nonostante sia uno dei musei di storia naturale più antichi al mondo.
Nell’elogio funebre di Paolo Savi, Antonio D’Achiardi (1871) riporta infatti come prima del suo arrivo “null’altro eravi di molto pregevole che la collezione del Gualtieri, vero monumento nella storia della scienza. Il cranio summentovato del Gassendo, pochi teschi di mammiferi (due di lupo, uno di volpe e uno di ghiro) una mano disseccata di foca, un pezzo di pelle umana conciata, una trentina d’uccelletti nostrali tarmati, pochi pesci ripieni di gesso e altre cose di nessun pregio formavano con esse tutta la suppellettile scientifica del luogo”.

Paolo Savi nei suoi primi anni al Museo, prima come curatore e poi come direttore, si dedica senza sosta all’incremento delle collezioni e infatti, nel 1824, quando il Granduca Ferdinando III di Lorena andò in visita al museo, trovò tantissimi esemplari raccolti e preparati dal Savi e per accoglierli tutti fu ordinata un’espansione del Museo. Ben presto però lo spazio mancò nuovamente e furono effettuati, grazie al sostegno economico di Leopoldo II, successivi ampliamenti del Museo negli anni successivi.
Per avere un’idea in termini quantitativi del lavoro di Paolo Savi nei primi anni di direzione del Museo, il padre Gaetano (1828), riporta come “…Il successore del prof. Santi, Prof. Paolo Savi, ha finora collocato in queste stanze più di cinquemila individui animali, cioè Mammiferi 170 tra i quali non pochi de’ rari come l’orso, la zebra, la scimmia urlona, l’ornitorinco, il castoro, l’jena, lo scoiattolo volante, la renna ec. Uccelli 1274 dei quali 1160 Europei, più 87 nidi colle rispettive coppie d’uccelli, e uova; e fra gli uccelli esotici rari si contano l’Albatross, diversi Tucani, Uccelli mosche, lo Struzzo, il Fenicottero, l’Uccello Lira, il Fagiano dorato, e il Fagiano perlato della China, l’Uccello Reale ec. Pesci 175, Rettili 177; Insetti 3150; Vermi intestinali 50”.
Grazie a questo continuo incremento delle collezioni, il Museo Pisano diventa un punto di riferimento in tutta Italia ed il prestigio di Paolo Savi e del Museo sono conosciuti anche all’estero e nelle principali accademie scientifiche del mondo, di cui Savi è socio.
Il Museo è talmente importante che in alcune edizioni della “Nuova guida di Pisa e de’ suoi contorni” pubblicata dalla tipografia Nistri di Pisa viene riservato uno spazio importante al Museo Pisano, come ad esempio nell’edizione del 1849, dove viene riportato un elenco delle specie più importanti e rare di mammiferi, uccelli, rettili e pesci che è possibile osservare visitando il museo.

Per quanto riguarda le preparazioni in tassidermia, Paolo Savi è stato uno dei primi a comprendere come con l’Ottocento le esposizioni museali cambino, con lo scopo di rivolgersi a un pubblico più vasto possibile e assumendo una valenza didattica. Per questo motivo Savi cerca, attraverso le sue preparazioni, di raccontare il mondo animale attraverso scene di vita quotidiane in cui gli individui interagiscono con altri individui della stessa specie o di specie diverse. Il Museo Pisano è stato uno dei primi in assoluto a realizzare queste preparazioni, chiamate gruppi biologici, che rappresentano i veri antesignani dei diorami naturalistici.
Per quanto riguarda la perfezione di queste preparazioni, Antonio D’Achiardi (1871) riporta come “…Gli animali, che ti paiono pur vivi, ti rivelano il genio di scienziato e d’artista del maestro, che ivi li pose. Non monotone file d’impagliate pelli; non storpiate figure di malconcie membra; ma sivvero ogni animale solo o in gruppo nella sua attitudine naturale, onde quasi ti attendi di udire il cantare l’augello fermo al dolce nido, soffiare la tigre, saltare le scimmie, sibilare i serpenti, gemere i deboli animaletti sotto gli artigli dei prepotenti nemici.”
Tra i gruppi biologici realizzati da Paolo Savi, uno dei più noti è certamente quello della scena di caccia al cinghiale (quest’ultimo dono del Granduca di Toscana e proveniente dalla tenuta di San Rossore) realizzato nel 1825 e costituito da un grosso cinghiale ferito da una lancia che lotta con due cani, uno dei quali gravemente ferito. Per la posa da dare alla preparazione, in assenza di libri figurati, Paolo Savi si è probabilmente ispirato alle incisioni di Stefano della Bella e a un dipinto di Frans Snyders.

Da un punto di vista scientifico, la prima parte della carriera di Paolo Savi è dedicata alla zoologia ed il suo principale interesse è stato senza dubbio l’ornitologia. Nel 1823 pubblica il “Catalogo degli uccelli della provincia Pisana e la loro toscana sinonimia” dove riporta che iniziò a raccogliere e ad esaminare uccelli a partire dall’inverno del 1819, cercando di raccoglierne il più possibile per rappresentare quasi tutte le specie che si trovano nell’area pisana, definita dal Savi come “… uno dei paesi più fecondi in uccelli, non solo in paragone dell’altre parti della Toscana, ma fors’anche dell’Italia, avuto riguardo alla sua estensione non molto grande”. Savi scrive anche come i motivi che lo spinsero a pubblicare questo catalogo fossero principalmente due: il primo è quello di essere utile alla scienza e far conoscere agli ornitologi gli uccelli del pisano, e il secondo “… è la lusinga di favorire in qualche maniera quel gusto che per l’ornitologia sembra cominciare ad estendersi tra noi…”.
Queste sue motivazioni, unite al fatto che l’ornitologia si stava affacciando in quegli anni in Italia e non esisteva ancora un testo nel quale si trattasse in maniera esaustiva dell’avifauna italiana, lo portò a scrivere la sua opera principale, l’“Ornitologia Toscana”, pubblicata in tre volumi nel 1827, 1829 e 1831 e che ancora rappresenta un’opera importantissima e cha ha portato il Savi ad essere considerato, a ragione, il padre dell’Ornitologia Italiana. Per scrivere l’“Ornitologia Toscana” ha continuato a collezionare esemplari per il Museo e formando “una collezione tale, che si può dire quasi completa, non solamente per il numero delle specie, ma anche per gli individui di ciascuna di esse, nel vario abito che vestono nelle diverse stagioni ed età, e per i nidi che fabbricano presso di noi.”.
L’“Ornitologia Toscana” ebbe un tale successo che ben presto le copie stampate andarono esaurite e Savi ricevette negli anni numerose richieste di pubblicarne una nuova edizione. Iniziò a lavorarci nella parte finale della sua carriera ma, a lavoro quasi ultimato, Paolo Savi morì e quindi l’estensione dell’“Ornitologia Toscana“, divenuta “Ornitologia Italiana”, fu pubblicata come opera postuma in tre volumi dal 1873 al 1876.

Ma in ambito zoologico Paolo Savi non si occupò soltanto di ornitologia. Una delle pubblicazioni che a mio parere meglio evidenzia le sue doti di osservatore del mondo animale, di zoologo e di museologo è un articolo in cui Savi scrive in merito a una “vescica” che i dromedari emettono dalla bocca. Nell’articolo viene evidenziato come fosse riportato in letteratura il fatto che i dromedari, durante la stagione degli amori, emettono dalla bocca una sorta di vescica che poi rientra e sparisce durante l’inspirazione. Ma nessuno aveva mai spiegato di che cosa si trattasse. Savi quindi, vista la presenza di una popolazione abbondante di dromedari presente nella tenuta di San Rossore, decise di studiare la cosa e di sezionare il primo esemplare che sarebbe morto presso la tenuta. Dal suo studio dimostrò in maniera chiara che questa vescica altro non era che l’ugola, che nei dromedari è particolarmente sviluppata e descrisse in modo dettagliato l’apparato boccale del dromedario. Per meglio far comprendere questo fenomeno ai lettori Savi corredò l’articolo con una tavola anatomica, che non mancò di replicare per il Museo attraverso una preparazione anatomica molto precisa e dettagliata.

Nel 1828 Savi pubblica le sue memorie scientifiche nella quali riporta l’insieme delle sue ricerche zoologiche. Uno degli articoli più interessanti che ci permette di comprendere un altro aspetto del Museo durante la direzione di Paolo Savi è quello “Sopra tre antilopi viventi una delle quali per anche non descritta (Antilope gibbosa Nob.)”. Nell’articolo Savi scrive che nel gennaio del 1828 furono affidate alla sua custodia tre rare specie di antilopi in vita provenienti dall’Egitto. Savi descrive dettagliatamente i comportamenti quotidiani di questi animali e i caratteri morfologici di ciascuno di essi. Secondo la sua opinione, due dei tre esemplari appartenevano alla stessa specie (e aveva ragione infatti si tratta di due esemplari adulto e giovane di orice dalle corna a scimitarra) mentre il terzo esemplare era secondo lui una specie nuova che quindi descrive con il nome di Antilope gibbosa (oggi nota con il nome scientifico di Addax nasomaculatus e con il nome comune di antilope dalle corna a vite). Uno degli aspetti più curiosi a mio parere è capire dove venivano tenuti questi animali in vita perché, considerando le attente descrizioni di Savi, certamente aveva la possibilità di osservarle quotidianamente. La risposta ci viene da un dipinto realizzato da Alfred Guesdon (1849) dove l’artista, su una mongolfiera, dipinge Piazza dei Miracoli di Pisa. Seguendo attentamente la strada che dalla Cattedrale porta verso il fiume Arno, si può notare sulla sinistra la presenza di un recinto all’interno del quale si vedono in maniera distinta tre animali, uno dei quali è una giraffa, che sarà poi spostata nella tenuta di San Rossore dove sarà costruita una stalla appositamente per lei.
Paolo Savi nella sua carriera non ha descritto soltanto l’Antilope gibbosa ma anche molte altre specie che hanno reso indelebile il suo contributo alle scienze della vita: 3 specie di invertebrati, 3 specie di anfibi tra cui la salamandrina dagli occhiali, 4 specie di uccelli tra cui la salciaiola e 8 specie di mammiferi tra le quali anche il mustiolo, il più piccolo mammifero esistente al mondo dopo il pipistrello farfalla.

Tra la fine degli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta dell’Ottocento Paolo Savi fece molti viaggi e fra questi, quello del 1828 a Parigi fu particolarmente importante. A Parigi Savi rimase per due mesi ed ebbe modo di frequentare i grandi maestri francesi dell’epoca, in particolar modo Georges Cuvier, padre della Paleontologia dei Vertebrati e dell’Anatomia Comparata. L’incontro con Cuvier portò Savi a cambiare orientamento scientifico, dedicandosi al suo ritorno sempre più alle Scienze della Terra.

Nel 1830 il Granduca lo incluse nella lista dei notabili toscani che lo accompagnarono in un lungo viaggio in Germania, durante il quale molto tempo fu dedicato ad esaminare i “terreni carboniferi” della Sassonia e della Boemia. Savi ispezionò miniere e si intrattenne con geologi e ingegneri minerari.
Negli anni successivi Savi intensificò le ricerche sul terreno: visitò l’Isola d’Elba e la Lunigiana pubblicando poi la Carta geologica dei Monti Pisani (1832). Le importanti ricerche ed i risultati ottenuti in ambito geologico conferirono a Savi la fama che lo portò a ricoprire un ruolo importantissimo nell’ambito della prima riunione degli scienziati italiani e che lo resero il padre della Scuola Geologica Pisana.
I grandi risultati delle sue ricerche e del suo lavoro come Direttore del Museo di Storia Naturale lo portarono anche a essere eletto senatore del Regno d’Italia e, alla sua morte, il vice presidente del Senato Paolo Onorato Vigliani lo ricordò con queste parole: “…Nella quale nobile schiera il pubblico suffragio assegnava un posto distinto al nostro Savi, che salito in alta fama in patria e fuori per l’ammirato ordinamento del celebre Museo pisano di storia naturale e per la pubblicazione di parecchie opere egregie, meritò di essere aggregato alle più celebri accademie nazionali e straniere, e di andare insignito di molte onorificenze che erano in lui splendida testimonianza di un merito tanto acclamato quanto modesto.”
L’eredità dell’opera di questo grande scienziato è oggi conservata presso il Museo.

Estratto da:
https://www.researchgate.net/publication/346244728_Paolo_Savi_e_la_Prima_Riunione_degli_Scienziati_Italiani

S.F.