Via col vento – Una piccola riflessione sul furto al Museo
Da sempre, l’uomo ha cercato di trovare una spiegazione a ciò che gli accade intorno, talvolta dipingendo la tela bianca dell’ignoto con i suggestivi colori della fantasia.
Fino al diciannovesimo secolo il ritrovamento di denti di narvalo, lunghi e appuntiti, ha contribuito ad alimentare il mito dell’Unicorno. C’era uno di questi denti nella “camera delle meraviglie” che, nel 1700, è stata la culla del Museo di Storia Naturale della Certosa di Calci. Un autentico corno di Liocorno: figuratevi l’orgoglio di chi poteva vantarsi di possedere una simile rarità.
Con il passare dei secoli e il progredire delle conoscenze scientifiche, l’uomo ha smesso di credere negli unicorni, ma il dente di narvalo ha conservato intatto il suo valore. È rimasto sempre lì, al suo posto nella vetrinetta, mentre il Museo cresceva, si trasferiva alla Certosa, ampliava ed arricchiva le sue collezioni di anno in anno fino all’apertura dell’ultimissimo settore espositivo, intitolato, guarda caso, “La terra tra mito e scienza” che ha visto oltre 1.000 presenze in un solo weekend. È stato sotto gli occhi dagli oltre 52.000 visitatori che il Museo ha accolto lo scorso anno e che, senza saperlo, sono stati gli ultimi a vederlo.
La notte tra il 6 e il 7 marzo è stata, lo ricordiamo tutti, una notte di tempesta. Soffiava un forte vento: un vento che stavolta, però, si è portato via il corno dell’Unicorno, assieme con un corno di rinoceronte di grandissimo valore monetario con cui condivideva la vetrina.
I ladri sono entrati rompendo il vetro di una porta-finestra del piano terra, e hanno avuto gioco facile a forzare una serratura vecchia di quattrocento anni. Avevano un obiettivo preciso: non hanno portato via altro che questi due reperti. Lo schema, del resto, non è nuovo: negli ultimi mesi altre corna di rinoceronte sono state rubate dalle teche diversi musei italiani. L’ammontare della refurtiva, soprattutto a causa della perdita del corno, è stimato oltre i 60.000 euro.
Ma è davvero possibile tradurre in denaro la perdita che il Museo ha subito? Scrive Oscar Wilde: “Un cinico è colui che conosce il prezzo di ogni cosa, e il valore di nessuna”. Se anche il Museo potesse riavere indietro dieci volte il prezzo in valuta corrente del corno e del dente, le banconote non potrebbero occupare il posto vuoto rimasto nella vetrina.
Qualcosa è andato perduto per sempre, qualcosa che si era conservato miracolosamente intatto per centinaia di anni: quei reperti erano frammenti insostituibili di storia e di cultura, custodivano in sé le magnifiche creature che erano stati, le decine di migliaia di sguardi che avevano attratto, le scoperte scientifiche che avevano accompagnato, le leggende che avevano alimentato e visto dissolversi. E ora non ci sono più, non diversamente dalle statue assire che abbiamo visto mutilate in questi giorni dai terroristi islamici: sono scomparse in nome del più sporco di tutti gli dei, quello del denaro.
Lasciateci, nel nostro piccolo, essere tristi.