Breve storia della tassidermia

Uno dei primi manuali di tassidermia in lingua italiana.

Il significato etimologico del termine tassidermia è ordinamento, disposizione della pelle.

Nella sua forma più ancestrale il procedimento era praticato già dall’uomo preistorico per la concia delle pelli ad uso di vestiario od altro e per la creazione di monili decorativi. Un particolare tipo di tassidermia era quello praticato dagli egiziani, più propriamente detta imbalsamazione, in quanto faceva uso di oli e balsami che venivano fatti assorbire dai corpi dopo una appropriata disidratazione, al fine di eliminare la maggior quantità di liquidi con l’utilizzo del natron, che è un carbonato di sodio.
Altro tipo di conservazione della pelle e dei corpi organici si ottiene con la mummificazione, ovverosia una disidratazione che può avvenire anche spontaneamente in ambienti o molto asciutti, (mummie peruviane) o anche umidi ma con un indice di acidità molto alto e in assenza di ossigeno (torbiere: famosa la testa ritrovata in Danimarca).
La pietrificazione e la molto più recente plastinazione sono invece due metodi che consentono la conservazione di parti anatomiche complete, la prima tramite bagni fissativi e sali inorganici (Silicato di potassio), la seconda tramite l’iniezione attraverso i vasi sanguigni e immersione in soluzioni varie di siliconi.
La tassidermia nel suo significato più complesso ed attuale differisce dalla semplice conservazione di corpi organici, ma denota l’abilità di ricostruire forme e atteggiamenti di animali viventi, partendo dal corpo di un animale morto, dopo aver effettuato vari trattamenti atti alla conservazione nel tempo. Si può dunque parlare sia di una funzione artistica della tassidermia, in quanto tesa ad evocare un senso di bellezza estetica attraverso l’imitazione della natura, sia di una funzione scientifica, in quanto supporto essenziale per lo studio, il collezionismo e la conservazione a scopo didattico.

La tassidermia intesa come arte ornamentale o come tecnica a scopo di studio risale a oltre 4 secoli fa. La prima collezione documentata fu realizzata in Olanda nella prima metà del XVI secolo: un nobile aveva trasportato via nave numerosi esemplari di uccelli che però morirono durante il viaggio. Dopo numerosi tentativi per conservare le loro pelli, svuotate dei corpi ed imbottite con spezie varie, alla fine gli esperimenti andarono a buon fine. Alcuni esemplari, montati su piedestalli, si conservarono per alcuni anni, anche se esteticamente erano molto lontani e più grezzi delle attuali preparazioni.
Il fiorente mercato con le Indie Orientali e con il Nuovo Mondo e la curiosità suscitata dall’arrivo di animali esotici con l’arrivo di merci stimolarono i ricchi commercianti e i signori ad organizzare raccolte di materiale esotico per incrementare le loro collezioni di “produzioni animali”.
E’ proprio in questa fase storica che nasce il concetto di museo, che allora si identificava come una “raccolta di oggetti preziosi, di rarità peregrine e di curiosità della natura”. E tale attività si trova ben espressa nella definizione di wunderkammern, o camere delle meraviglie (di cui abbiamo una bella ricostruzione nel nostro Museo).
Tipiche delle antiche collezioni del XVI e XVII secolo, queste serie di materiali erano conservate in locali appositi di case private e costituivano una bizzarra ed eterogenea raccolta di pezzi rari ed esotici. Tuttavia i materiali esposti avevano più una funzione di decoro che una funzione di raccolta sistematica di reperti naturali.
Tra queste collezioni possiamo citare il museo di Ferrante Imperato (1599) a Napoli, il Museo di Olao Warm (1655) a Copenaghen, il Museo di Manfredo Settala (1666) a Milano e il Museo di Francesco Cospi (1677) a Bologna.

Le tecniche tassidermiche di questo periodo non erano però ancora molto evolute, tant’è vero che il più antico esemplare montato tuttora esistente (1702) è un pappagallo grigio africano appartenuto alla duchessa di Richmond, attualmente esposto nell’Abbazia di Westminster, a Londra.
Da recenti indagini effettuate con i raggi X si è potuto osservare che l’animale era stato preparato lasciando al suo interno lo scheletro completo, la lingua e la trachea, parti che con le tecniche successive vengono totalmente eliminate.
Un miglioramento delle tecniche avverrà a metà del ‘700, grazie anche alla formulazione di una pomata arsenicale, successivamente modificata e perfezionata, che permetteva una concia e una inattaccabilità da parte delle tarme. Tale pomata, ideata dal farmacista Jean Baptiste Becoer, verrà utilizzata fino agli anni ’60 del secolo scorso, per essere poi soppiantata da altre paste concianti a base di borace, meno pericolose per l’utilizzatore.
Nel ‘700 vengono pubblicati i primi trattati di tassidermia (Réamour 1748, Abbè Menasse 1786), ancora incompleti ma sufficienti a stimolare un approfondimento del mondo naturale.
Con la decima edizione del “Systemae Naturae” di Linneo, le grandi spedizioni scientifiche e le più evolute tecniche tassidermiche sorgono i primi veri e propri musei privati e non, con finalità didattiche e scientifiche: Charles Wilson Peale (1741-1827) fonda il primo Museo di Scienze Naturali a Philadelphia, William Bullok fonda un museo a Liverpool, Charles Watertone, inglese, noto anche per la sua eccentricità ma soprattutto perché fece conoscere gli effetti del curaro, il tedesco Johann Naumann, fondatore della moderna ornitologia europea.
Questo è il periodo in cui il museo naturalistico subisce una vera maturazione come istituzione scientifica, contribuendo in maniera determinante allo sviluppo della zoologia sistematica e dell’anatomia comparata. Tuttavia resta un luogo di cultura, estraneo alla funzione sociale.
Nell’800 esplode la diffusione della tassidermia, non solo a scopo scientifico ma anche per la sua applicazione al gusto estetico dell’epoca: è il periodo in cui nascono i tavolini-bar ricavati da una zampa di elefante, le posate con i manici formati da chele di crostacei, i candelabri con la base composta da zampe di ungulati.

Sulla destra Rowland Ward, tassidermista inglese dell’800, i cui
laboratori sono tuttora attivi a Londra. Sulla sinistra un
esemplare di orso in una delle preparazioni bizzarre tanto in voga nel
“periodo vittoriano” del Regno Unito.

E’ questo il periodo in cui si affermeranno anche i migliori tassidermisti italiani, tra i quali fa piacere ricordare Paolo Savi, naturalista, studioso, ma anche abilissimo tassidermista, che ha realizzato numerosi preparati presenti nelle collezioni del Museo. Col tempo le tecniche si sono sempre più affinate, grazie anche all’introduzione di nuovi materiali che ne hanno sostituito altri che avevano il grosso difetto di essere igroscopici e soggetti all’attacco di tarme ed altri insetti.

Paolo Savi, naturalista e bravissimo tassidermista che
molto ha contribuito all’arricchimento delle collezioni del Museo di
Storia Naturale dell’Università di Pisa.

Ecco dunque comparire fibra sintetica al posto del cotone e della stoppa, stucchi acrilici ed epossidici al posto di stucchi a base di colla e gesso, poliuretano espanso al posto della cartapesta con cui si realizzavano i manichini di medi e grandi animali. Anche gli occhi artificiali, in vetro o in resina, hanno raggiunto un livello di fedeltà che li rende spesso indistinguibili da quelli veri.

Un tassidermista di fine ‘800 mentre dà gli ultimi ritocchi alla preparazione di un avvoltoio degli agnelli.

Inoltre l’utilizzo di questi materiali ha permesso la realizzazione di esemplari che, oltre ai vantaggi già nominati, presentano la leggerezza e la possibilità di ottenere posizioni e atteggiamenti una volta difficilmente ottenibili.
Tutto ciò ha permesso di rendere più efficace e didatticamente più valida l’esposizione degli esemplari montati. Una metodologia espositiva utilizzata da molto tempo nei grandi musei americani (magnifica la sala dei grandi animali africani al Museum of Natural History di New York, realizzata da Carl Akeley) e più recentemente in quelli europei, è quella dei diorami, ovvero l’esposizione dei vari esemplari nei loro ambienti naturali, ovviamente ricostruiti, permettendo l’osservazione completa delle varie comunità biologiche.

Carl Akeley, padre della moderna tassidermia, mentre controlla il calco effettuato ad un gorilla.

In questa direzione si è orientata anche la scelta del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa, permettendo anche, dopo un opportuno restauro, l’utilizzo di numerosi esemplari finora relegati in anguste vetrine o, peggio ancora, nascosti in qualche magazzino in attesa di tempi migliori.
Da tutto ciò si può facilmente constatare come il nuovo obiettivo del museo naturalistico miri a una più ampia fruizione da parte del pubblico.

R. C.