La storia della Galleria dei cetacei
La spettacolare Galleria dei Cetacei rimane impressa nei ricordi di chiunque abbia visitato il Museo. Con la sua vista mozzafiato e l’eccezionale collocazione degli scheletri fluttuanti su un paesaggio montano, la Galleria è senza dubbio il fiore all’occhiello della struttura.
Ma come nasce questa sala? La storia, come spesso accade in Italia, è lunga e travagliata, anche se, fortunatamente, a lieto fine.
Partiamo dall’inizio.
Quando il Monastero era ancora tale, l’attuale Galleria dei Cetacei altro non era che un fienile: un colonnato aperto dove si lasciava a essiccare il raccolto. E tale è rimasta fino all’inizio degli anni Ottanta, quando, per volontà di Ezio Tongiorgi, alcuni spazi della Certosa sono stati concessi “in uso gratuito e permanente” all’Università di Pisa per ospitare il Museo di Storia Naturale.
Sfogliando gli atti del Consiglio del Museo, la questione Galleria dei Cetacei si pone a partire dal 1983, quando, il 7 gennaio, lo stesso Tongiorgi (adesso direttore) accompagna i membri in quella che può essere definita la prima visita guidata mai realizzata, per constatare il buon andamento dei lavori. È ancora Tongiorgi a porre il problema “della opportunità di pensare all’inizio dei lavori di ristrutturazione della grande galleria al secondo piano sul lato nord per accogliere le balene”.
La scelta dei locali non è casuale, bensì dettata dalla necessità pratica: dell’intera Certosa solo gli ampi spazi dell’ormai ex fienile, infatti, possono ospitare scheletri di tali dimensioni. Ovviamente, però, l’ala non può rimanere com’è, con i reperti esposti alle inclemenze del tempo atmosferico. In qualche modo deve essere approntata una chiusura, e il Consiglio stabilisce che “debba essere fatta a filo parete per le esigenze di spazio interno legate alle dimensioni degli scheletri di balena”. L’eccezionalità dell’idea sta però nella scelta del materiale: il vetro. Ci vuole tempo perché si trovi una ditta disponibile a realizzare una chiusura a tutto vetro dei locali.
C’è però un altro inghippo: se la galleria è disponibile planimetricamente a ospitare il materiale “si hanno invece problemi in altezza. La balenottera di maggiori dimensioni ha infatti una altezza misurata di 3.20 metri allo stato attuale (che dovrebbe essere ancora maggiore se gli arti venissero montati nella loro posizione corretta) mentre la galleria, al di sotto della travatura delle capriate, ha un’altezza di 2,90 m dalla parte a monte e di 3.30 m al lato estremo”. Si decide perciò di limitare la chiusura alle pareti, escludendo il soffitto.
Nel 1984 una delle finestre del “capannone delle balene” (a Pisa) viene allargata al fine di consentire l’uscita del materiale. Così leggiamo nel verbale del Consiglio: “Gli scheletri appesi al soffitto saranno calati, in parti separate, approfittando dei loro attuali sostegni. Una volta calati si potrà procedere ad una loro ricognizione, misura e progetto di rimontaggio a Calci”. Attenzione, però: “Dato che però non tutti potranno trovare adeguata collocazione nella galleria grande di Calci, i doppioni verranno rimontati nella galleria a primo piano, sopra il porticato”. L’attuale galleria dei mammiferi. “I restanti scheletri saranno invece provvisoriamente collocati, smontati, nella nuova galleria grande e si attenderà, per il loro definitivo rimontaggio secondo nuovi criteri, che siano terminate le operazioni di recupero e chiusura della galleria”. “Resterebbero da collocare nella galleria quattro grandi scheletri e da 16 a 18 piccoli scheletri”. Molto meno di quelli presenti nella Galleria attuale: nei nuovi allestimenti oggi ben trenta sono in esposizione.
Nel 1985 “è stata montata la prima vetrata di prova della chiusura della galleria. L’infisso messo in opera è pienamente soddisfacente sotto il profilo delle esigenze del museo e … di ottima valenza estetica”. Contemporaneamente, si pensa a proteggere provvisoriamente gli scheletri ormai disposti nella sala in attesa che sia chiusa. Cosa che avverrà solo nel 1992: prima di allora, nel corso di un inverno particolarmente rigido, l’allora direttore Franzini e i due soli dipendenti allora afferenti al Museo si trovano a spalare la neve dagli scheletri al mattino per evitare che nottetempo, gelando, danneggi i reperti.
Un ultimo gustoso aneddoto: il 12 novembre 1985 “Franzini dà lettura di una lettera pervenuta ultimamente al Museo insieme ad un pacchetto contenente due vertebre di cetaceo: nella lettera stessa si spiega come le due vertebre fossero state trafugate dal Museo di Storia Naturale di via Volta, circa settant’anni fa, ed i motivi della restituzione: purtroppo il tutto non è firmato. Il Consiglio prende atto della restituzione ringraziando l’anonimo”.
L.B.
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