L’incredibile viaggio delle Anguille
Una delle novità recenti della galleria degli acquari è la vasca dedicata agli Anguilliformi, in cui sono ospitate alcune anguille.
La specie esposta è la comune Anguilla Europea (Anguilla anguilla), presente anche nelle nostre acque. Non la murena e neppure la famigerata anguilla elettrica del Sud America, come creduto talvolta dai visitatori.
Lunga in media sui sessanta centimetri, l’anguilla è un predatore notturno, che rimane nascosto durante le ore di luce in un anfratto roccioso, sotto un riparo o sepolta nel fondale e che con il calare delle tenebre esce allo scoperto in cerca di invertebrati acquatici e pesci, sia vivi che morti.
La sua pelle, apparentemente nuda, presenta in realtà scaglie molto piccole, ricoperte da uno spesso strato di muco protettivo che rende questo pesce proverbialmente viscido e difficile da afferrare.
La peculiarità più rilevante della specie è il suo ciclo riproduttivo, uno dei più complessi e intriganti nel regno animale.
La vera storia dell’anguilla è rimasta a lungo un mistero, al punto che Plinio il Vecchio e Aristotele sostenevano che si generassero spontaneamente dal fango. Solo verso la fine dell’Ottocento i naturalisti sono riusciti a scoprire la verità e ad oggi molti dettagli sono ancora ignoti.
Normalmente l’anguilla colonizza una grande varietà di ambienti, dai torrenti di montagna alle zone più calme dei fiumi, fino alle foci e alle aree costiere. Tuttavia, quando giunge il momento di riprodursi, migra istintivamente verso il mare, non esitando a uscire dall’acqua e a strisciare sulla terraferma per superare ostacoli se l’umidità atmosferica è sufficientemente alta da impedire loro di disidratarsi.
Raggiunta la costa, l’anguilla (e questo vale per tutte le popolazioni dal nord Europa all’Africa) inizia un lungo viaggio che la conduce verso il Mar dei Sargassi, al largo della costa orientale del Nord America. Durante questo periodo, il loro aspetto muta notevolmente: la colorazione passa da marrone giallastro a nero argenteo, le pinne e la testa diventano più appuntite, l’apparato digerente degenera in quanto smette di nutrirsi e gli occhi diventano più grandi per orientarsi meglio nelle profondità oceaniche. Questo stadio dello sviluppo è noto come anguilla argentina.
Dopo un estenuante viaggio, lungo anche 6.000 chilometri, l’anguilla depone e fertilizza le uova, perdendo poi la vita per lo sforzo effettuato.
Dopo la schiusa dall’uovo, l’aspetto dell’anguilla è molto diverso dall’adulto; la larva, lunga circa cinque millimetri, è completamente trasparente e il corpo compresso lateralmente, a forma di foglia di salice. Non per niente questo stadio, noto come leptocefalo, era un tempo considerato una specie a sé stante prima che le sue vere origini fossero scoperte.
Il leptocefalo è incapace di nuoto proprio, perciò si limita a sfruttare le correnti oceaniche per farsi trasportare verso i luoghi di origine degli adulti, un viaggio che può durare più di un anno a seconda della destinazione. Una volta raggiunte le acque costiere il suo aspetto muta e assume una forma più cilindrica, sempre con il corpo depigmentato. A questo stadio, noto come cieca, l’anguilla è in grado di muoversi attivamente, e si trasferisce nelle acque interne, dove assume un aspetto simile all’adulto, completando la formazione delle scaglie e la pigmentazione del corpo. In questa fase, nota come anguilla gialla, passerà tra i quindici e i venti anni crescendo e nutrendosi in preparazione della sua grande migrazione.
Esistono casi di anguille ritrovatesi in ambienti isolati e dunque non in grado di migrare, le quali hanno raggiunto età e dimensioni ben superiori alla norma della specie, con esemplari in cattività che hanno superato gli ottanta anni di vita e il metro di lunghezza.
Questo incredibile viaggio per la continuazione della specie si è purtroppo rivelato il suo tallone di Achille: dighe e altri sbarramenti lungo i corsi d’acqua rappresentano spesso ostacoli insormontabili durante la migrazione sia degli adulti verso il mare che dei giovani verso l’entroterra. Non essendo in grado di riprodursi, l’anguilla è destinata a scomparire da quel tratto di fiume o lago.
A complicare le cose vi è la pesca eccessiva della specie, soprattutto durante le fasi di rimonta e discesa dei fiumi, quando gli individui sono più facili da intercettare. Le carni dell’anguilla sono infatti molto apprezzate e in molte regioni costiere la pesca della specie ha un alto valore economico e culturale da tempi immemori, al punto che sono stati sviluppati diversi sistemi per la cattura, da trappole sommerse alla famosa mazzacchera, una lenza priva di ami con all’estremità una collana di lombrichi.
Gli esemplari femmina di grande taglia, noti con il termine gastronomico di Capitone, sono un piatto tipico dei periodi natalizi, e anche le minuscole cieche sono molto ricercate.
L’inquinamento è un altro fattore negativo: il cocktail di pesticidi, metalli pesanti e altre sostanze chimiche rilasciate nei corsi d’acqua alterano il metabolismo delle anguille, risultando letali per i giovani e rendendo gli adulti inadatti a compiere la migrazione.
Queste cause hanno avuto un effetto pesante sulle popolazioni di anguilla, che hanno subito un crollo drastico; la IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) le ha assegnato lo stato “in pericolo critico”, il gradino appena precedente l’estinzione.
Nonostante ciò, la pesca dell’anguilla rimane un’attività legale che, in aggiunta al bracconaggio, continua a incidere sulle popolazioni. Sarebbe necessaria una maggiore restrizione – se non il divieto assoluto – delle catture, unita a una tutela delle rotte migratorie, per assicurarsi che questa specie continui a effettuare il suo affascinante e impegnativo ciclo biologico.
M.L.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.