Un cranio con il corallo, una nicchia con le ante in legno e un’idea
Una camera delle meraviglie, un cranio con il corallo, una nicchia con le ante in legno e un’idea!
E’ così che è nata la ricostruzione tridimensionale dello “Scarabattolo” di Domenico Remps, probabilmente il più noto dipinto a olio trompe-d’oeil che il barocco ci abbia consegnato.
Dell’autore del dipinto si sa poco o nulla, se non che – come altri pittori del suo tempo – si trasferì a Venezia per studiare i pittori italiani e per cercare nuove commissioni.
Il dipinto, che oggi è conservato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, fu commissionato probabilmente dal marchese Francesco di Cosimo Riccardi, l’allora maggiordomo maggiore del granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici.
Ma che cos’è lo scarabattolo di Remps e perchè si è voluto riprodurlo in tre dimensioni al Museo?
Lo scarabattolo è una sorta di piccolo armadio per oggetti di particolare valore artistico e naturale. In pratica é la presentazione, su tre ripiani, di un mondo di “naturalia e artificialia”, con molti oggetti che facevano parte delle collezioni medicee: uno specchio sferico, una lente, uno strumento scientifico in vetro soffiato, un termometro ad alcool, una pistola, un orologio da tasca sul bordo dello stipetto insieme ad un calamaio con due penne d’oca e un coltellino, nastri rossi, quindici mini-dipinti, una stampa, due grosse medaglie, bronzetti e cammei, vasi di avorio tornito, rami di corallo color rosso e nero, scarabei, minerali, conchiglie e un cranio umano con un corallo rosso sulla sua sommità.
Ed è proprio quest’ultimo oggetto il motivo della ricostruzione dello scarabattolo: il cranio con il corallo, oggi conservato nella Wunderkammer del Museo, appare nel dipinto, a dimostrazione di quanto questa curiosità fosse famosa in quel tempo.
Lo scarabattolo quindi ci racconta molto sul collezionismo di curiosità e su quanto fosse di moda raccogliere oggetti che andavano dall’arte alla botanica, dalla fisica all’astronomia.
Come nella tela originale, anche qui non si sa cosa ammirare di più: se il numero o la fantasia degli oggetti, la cura con cui sono resi fin nei minimi dettagli o la loro disposizione.
Posto d’onore allo scarabattolo allora, e anche alle persone che l’hanno ricostruito: Pietro, Beatrice, Alberto, Massimo, Riccardo, che ci svelano alcune curiosità su come sono stati ricostruiti gli oggetti, quanto tempo ha richiesto la loro relizzazione, le tecniche e i materiali che hanno usato.
Ci sono voluti circa due mesi per realizzare lo scarabattolo, che è iniziato con lo studio e la ricerca di informazioni e immagini ad alta risoluzione degli oggetti, in modo da catturarne i particolari più piccoli. Sono stati utilizzati i materiali più svariati, dalla carta al polistirolo, dal legno d’olivo al das, dalla stoffa alle resine, dai metalli al vetro. E anche diverse tecniche per arrivare agli effetti desiderati: dall’invecchiamento della carta alla doratura delle cornici e dei supporti, dalla patinatura di alcune curiosità fino all’effetto cera dei dipinti.
Oggetti nati per usi diversi sono stati trasformati e assemblati, dando loro una nuova veste e una nuova funzione: ad esempio, la lente con la relativa base è stata realizzata a partire da un vecchio candelabro, lo strumento scientifico è stato fatto unendo insieme due campane di vetro.
L’oggetto che ha dato più emozione nel riprodurlo?
Forse la lettera infilata in un’anta a vetri, con il suo testo seicentesco scritto a mano con inchiostro e pennino su una vecchia carta, poi piegata e arricchita dal suo sigillo in ceralacca rossa!
Come Remps ha raccontato il bisogno che si aveva all’epoca di stupire e di sorprendere, così anche il Museo vi aspetta, in compagnia dello stupore e della curiosità.
S.B.
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